sabato 1 luglio 2017

6. Il Popolo Himba


La metà odierna e Opuwo conosciuta anche come capitale degli Himba in quanto in questa regione, il Kaokoveld, si concentra la maggior parte delle comunità di questo popolo seminomade.
Affrontiamo gli oltre 200 km di sterrato con la solita grinta e determinazione e lungo il tragitto veniamo gratificati dalla vista di 3 splendide giraffe, 2 scimmie ed altri animaletti dal nome a me sconosciuto. Superiamo anche qualche villaggio dove ci fermiamo a fare benzina e cogliamo l'occasione per fotografare i bambini che tornano da scuola. Cerchiamo di fare uno spuntino ma come al solito non troviamo nulla all'infuori di qualche sacchetto di patatine e biscotti nello shop del benzinaio.

Giunti ad Opuwo, dopo aver prelevato un po di contanti dal bancomat, andiamo in cerca del centro di cultura locale per organizzare l'escursione per il giorno successivo. Al Kaoko Cultural Center troviamo delle guide che essendo le 5 del pomeriggio se ne stanno andando ma caparbiamente, con una certa fatica, riusciamo a prenotare la visita al villaggio himba con una di loro che si incaricherà anche di noleggiare un fuoristrada. Il tutto per circa 150 euro. 
Soddisfatti, ci rechiamo all'hotel ubicato a circa 7 km dalla città e scopriamo che non ha il ristorante e nemmeno il collegamento internet.
Dopo una doccia ristoratrice riprendiamo le moto per recarci in città dove troviamo un ristorante di tipo europeo con 2 maxi schermi che trasmettono partite di calcio e rugby. Anche il menù non ha nulla di africano, sembra quello che si può trovare in un fast food di una qualsiasi nostra città. I proprietari, come sempre nelle attività commerciali, sono bianchi probabilmente sudafricani.
Al ristorante c'è pure il wifi così che Paolo e Michele possono interrompere l'isolamento dal resto del mondo che dura già da alcuni giorni mentre io per il momento non ne sento ancora la necessità, anzi confesso che la consapevolezza che nessuno sappia dove mi trovo e che cosa sto facendo non mi disturba affatto.
La mattina successiva, puntuale come un orologio svizzero, si presenta la nostra guida con uno scassatissimo pickup vecchio di almeno 30 anni. Evidentemente si è tenuto per se i soldi del noleggio ma tutto sommato va bene lo stesso, l'importante è che ci porti a conoscere queste antiche popolazioni che vivono ancora come centinaia di anni fa.
Prima di imboccare la strada che ci porterà dagli himba, facciamo una puntata al locale supermarket per acquistare dei prodotti alimentari da portare loro in dono come ringraziamento per la loro ospitalità.
All'interno del supermercato una donna himba si avvicina più volte alla nostra guida per chiedere qualcosa con un prodotto in mano. Sul momento non capisco, poi mi rendo conto che la donna non sa leggere e si rivolge alla guida per farsi dire il prezzo e forse le caratteristiche del prodotto.
Fuori dalle città l'analfabetismo è sicuramente un grande problema. La Namibia non ha ancora sviluppato un sistema di trasporti e pertanto i villaggi restano completamente isolati. Lo stesso discorso vale ovviamente anche per l'assistenza sanitaria che fuori dai maggiori centri è praticamente inesistente.
Finalmente arriviamo al villaggio. E' completamente isolato nella boscaglia a 25 km da Opuwo. E' composto da circa 30 persone e al momento sono presenti solo donne, bambini e l'anziano capo, figura di riferimento per tutto il gruppo.
Chiediamo subito di lui per le presentazioni, che avvengono  con un nutrito scambio di convenevoli, e per ottenere il permesso di gironzolare liberamente per il compound e sopratutto il permesso di fotografare cose e persone.

Il villaggio sorge su uno spiazzo circolare di 100 metri di diametro circondato da una fatiscente palizzata che ha lo scopo di difesa dagli animali selvatici e credo anche per non consentire ai loro di uscire liberamente. All'interno ci sono una cinquantina di capre, altrettante mucche e qualche pollo. Rimango subito sconvolto nel constatare che persone e animali condividono lo stesso spazio. Sul terreno sabbioso, pieno di escrementi, vivono tutti ed anche i bambini, nudi o seminudi, giocano a terra rotolandosi in quella lurida sabbia senza che ciò costituisca un problema per loro.

Le loro abitazioni sono delle capanne costruite con pali di legno ed intonacate con paglia mescolata a sterco di vacca e sabbia.
Tutti vivono ovviamente all'aperto andando nelle capanne solo per dormire. Le donne sono intente nelle loro faccende abituali: c'è chi agita un contenitore con del latte per ricavarne il burro, chi munge le capre, chi lavora la pelle, chi taglia o acconcia i capelli ed anche chi ozia senza fare nulla.
Intorno ad un piccolo braciere vediamo alcuni bambini che si stanno preparando qualcosa da mangiare.
E' una poltiglia bianca ottenuta mescolando farina di mais con dell'acqua torbida travasata da una tanica dal colore indefinibile. Finita la preparazione li vediamo cibarsi attingendo direttamente con le mani dal secchio di plastica che ha servito loro da padella. Una scena davvero toccante.
L'abbigliamento si limita ad un piccolo perizoma per gli adulti mentre i bambini sono generalmente nudi. La pelle delle donne ha quel caratteristico colore arancione ottenuto spalmandosi sul corpo del burro misto a polvere di argilla color ocra. Anche le acconciature sono del tutto particolari. I capelli sono raccolti in lunghe trecce ricoperte da argilla fino alle estremità dove spunta un fiocco di crespi peli neri.
Al villaggio non c'è acqua corrente e nemmeno l'elettricità, superfluo pensare all'esistenza di servizi igienici.
In compenso al centro dello spiazzo, nelle vicinanze della casupola del capo, c'è il fuoco sacro che viene acceso ogni giorno per comunicare con il loro dio.
Tra le donne, non possiamo fare a meno di notare due ragazze molto giovani e belle, che non sfigurerebbero al concorso di miss Africa. Inoltre c'è la simpatica e vezzosa ventenne figlia del capo che verrebbe volentieri in Italia con me. Io però, seguendo il consiglio dell'amica Claudia :"dalle nostre parti fa troppo freddo per lei", mi sono elegantemente defilato.
La visita al villaggio termina con l'acquisto di qualche souvenir di loro produzione e con la consegna dei viveri che abbiamo appositamente acquistato per loro.
Per me è stata un'esperienza molto bella ed interessante con un grande contenuto culturale che consiglio caldamente a tutti coloro che si recano in Namibia. I turisti che arrivano fin qua non sono molti e coloro che hanno incontrato gli himba ai margini delle strade hanno conosciuto solo una brutta copia di questo fiero popolo di allevatori. Temo purtroppo che questo modo di vivere, ormai anacronistico, abbia i giorni contati. Il richiamo della città con i suoi falsi idoli sarà probabilmente irresistibile per le giovani leve con il rischio di trasformare gli himba in una comunità simile agli zingari o ai nativi americani dediti all'alcool e alla prostituzione. Spero vivamente di sbagliarmi.