sabato 1 luglio 2017

4. La Skeleton Coast


Il nostro emozionante viaggio prosegue ancora verso nord per raggiungere la città costiera di Swakopmund, "Swako" per i Namibiani. La strada è bruttina con parecchia sabbia e tanta polvere che si infila dappertutto, sopratutto nel naso e nella bocca nonostante le mascherine portate appositamente dall'Italia dietro consiglio dell'amico "Profezional".

Peccato che dopo circa un'ora e 70 km percorsi, ad un bivio ci rendiamo conto di procedere nella direzione opposta. Vatti a fidare dei gps per escursionismo estremo. A volte è meglio la vecchia e cara cartina osservando la posizione del sole per orientarsi.
Un po abbacchiati giriamo le moto e ripercorriamo la strada già fatta tirando un po di più cercando di recuperare, almeno in parte, il tempo perduto. Anche oggi intorno a noi vediamo solo deserto e montagne in lontananza. Mai un baretto o un punto di ristoro dove poter acquistare qualcosa da bere o da mangiare e dove potersi riposare un pochino. In Namibia si viaggia completamente soli, non esiste alcun tipo di assistenza e se ti succede qualcosa sono cavoli tuoi. Per raggiungere la costa siamo costretti a percorrere una terribile strada di montagna che valica un'arida catena montuosa dove una tole onduléé da paura mette a dura prova le nostre braccia e le infrastrutture delle moto. A volte ho l'impressione che le borse si stacchino letteralmente dalla moto ma per fortuna anche in questa situazione, a dir poco estrema, le bmw si dimostrano estremamente robuste ed affidabili. 
Alle 16:30 siamo sulla costa a Walvis Bay per vedere e fotografare una colonia di fenicotteri rosa che vivono stabilmente nella vicina laguna. Ci spostiamo velocemente lungo la costa per raggiungere Swakopmund prima che faccia buio e dove arriviamo nella nebbia e con una temperatura di 12°. E pensare che nel pomeriggio si viaggiava con 30/32°. Incredibile, in poche ore un'escursione di ben 20°.

Swakopmund è una città relativamente moderna sorta in epoca coloniale tra le dune del deserto a ovest e l'oceano ad est. Se non fosse per le palme e per la sabbia sollevata dal vento si potrebbe pensare di essere in una località balneare tedesca sul mare del nord. E' abitata prevalentemente da namibiani di origine tedesca e da turisti richiamati dalle onde dell'oceano, perfette per il surf. Noi che siamo solo di passaggio ci limitiamo ad una passeggiata sul lungo mare e ad una grande e memorabile cena a base di pesce consumata in un vecchio peschereccio riconvertito a ristorante. Dopo cena, prima di rientrare in hotel, facciamo il consueto giretto per il centro che anche in questo caso troviamo deserto.


La mattina seguente partiamo avvolti da una fitta nebbia che ci accompagna per una cinquantina di km. La strada, in parte asfaltata e in parte in terra battuta resa viscida dall'umidità, si percorre con una certa tranquillità. Siamo diretti a Cape Cross, una località più a Nord lungo la costa dove ogni anno vengono a riprodursi circa 100.000 otarie. All'ingresso del sito scorgiamo uno sbiadito cartello con il divieto di accesso alle motociclette ma Paolo e Michele, per pochi dollari, riescono ad ottenere un permesso che ci consente di percorrere con le moto i 4 km necessari a raggiungere il punto in cui stazionano le foche.
Il colpo d'occhio sulla spiaggia è decisamente emozionante sebbene l'acre odore proveniente dagli accumuli dei loro escrementi crea qualche problema ai nasi più delicati. Comunque molto meno intenso del puzzo micidiale che ho sperimentato presso le colonie di pinguini in Patagonia.

Dopo una breve sosta ristoratrice al vicino e lussuoso lodge, lasciamo Cape Cross per inoltrarci verso l'interno nella regione denominata Erongo, su una polverosa strada sterrata che attraversa il deserto. Verso sera arriviamo a Uis, piccolo centro minerario dove si respira ancora aria di "apartheid". La cittadina è divisa in due zone : una per i ricchi bianchi che vivono in lussuose ville con piscina, e una per gli operai neri, con abitazioni modeste e fatiscenti. Alloggiamo in una bella villa/guesthouse dotata anche di una piccola piscina e ceniamo in un ristorante, gestito da un bianco sudafricano, che per l'occasione apre il locale solo per noi.